Co-Stories History: parte 2.
Ogni giorno cʼè una battaglia invisibile. Tutti lottano per la nostra attenzione. Soprattutto sul telefono.
A dettare le regole, due grandi algoritmi. Quello del social network e quello del nostro intelletto: la memoria selettiva. La soluzione? Lʼinfluencer. Economico ed ingaggiante, lʼinfluencer permette di raggiungere un numero presumibilmente certo di persone suoi seguaci. Solitamente si tratta di professionisti, molto attivi sul web, che godono della fiducia del loro pubblico su un determinato argomento. Quindi riescono a vincere i due algoritmi di cui sopra. Il problema? Spesso le relazioni tra aziende e influencer non danno i risultati sperati. Allʼinizio è tutto rose e fiori, ma poi le prime vorrebbero vedere subito i risultati e i secondi che la relazione duri il meno possibile.
Solitamente quando un’azienda arriva a pensare che vuole collaborare con gli influencer significa che vuole aumentare in maniera più o meno organica (gratuita) le visualizzazioni dei propri contenuti, il pubblico, aumentare l’awareness e convertire l’interesse in possibili clienti. Da questo matrimonio possono nascere due tipologie di rapporto. Il primo è un contenuto Influencer Oriented, ovvero lontano (troppo lontano a volte) da quella che era l’esigenza del cliente. Gli effetti di questa tipologia sono chiari: i fan dell’influencer si godono un contenuto nuovo e divertente, i fan del brand non riescono a capire cosa c’entri con il resto della comunicazione.
La seconda tipogia di rapporto è un contenuto Brand Oriented, ovvero lontano dalle caratteristiche dell’influencer. In questo caso l’influencer diventa quasi un testimonial e solitamente non c’è la pubblicazione sui suoi canali, ma solo sul canale del brand.
Come dovrebbe essere invece? Il contenuto che si deve costruire deve essere Over-Oriented. Il suo obiettivo deve essere quello di coinvolgere una comunità più grande, quella per esempio della colonna sinistra delle testate online (quella dedicata alle notizie acchiappalike per intederci).
Quindi deve andare oltre l’interesse delle rispettive comunità. La ricerca di un contenuto over-oriented, ribalta il problema del media.
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